…Prima della Dolcevita…
Roma ha avuto da sempre un continuo rapporto con l’acqua: dal fiume Tevere, che la attraversa, al suono delle sue fontane monumentali. La città però ha anche tante fontane e fontanelle curiose che qui affronteremo.
Questa città, dalla conformazione geologica del suolo sul quale è costruita , soprattutto in passato dava luce a numerose sorgenti d’acqua, che la sua popolazione ha sempre saputo ben sfruttare.
In particolare i Romani hanno sempre curato l’aspetto dell’acqua come bene pubblico.
Sono, infatti, pienamente integrati nella città i numerosi acquedotti, cisterne, ninfei e terme dell’antica Roma.
Già allora esistevano fontane pubbliche e oggi se ne possono contare quasi 2000, ma cominciamo a parlare di quelle minori e misconosciute:
La fontana del Cane
Quello che non ci aspetteremmo mai di incontrare, tra fasti antichi e stile discutibile di alcune moderne, è trovare in tempi recenti, la” Fontana del Cane”, proprio in quella che diverrà icona poco dopo della “Dolcevita”, ma che allora era una via si ben frequentata, ma di una Roma appena entrata in guerra.
Si può definire senz’altro la più piccola fontana romana, non dedicata e tantomeno voluta per i romani, e per questo motivo è una delle più curiose.
Anche al più abituale frequentatore di Via Veneto potrà essere sfuggita non soltanto per le sue piccole dimensioni, ma soprattutto per la sua inconsueta posizione: praticamente raso terra; ma per l’uso cui era destinata, non poteva essere collocata in modo più consono.
Via Veneto, una strada storica non perché legata alla storia, ma per essere stata, a cavallo fra gli anni ‘50 e ‘60, fulcro della «dolce vita felliniana», e prima ancora ritrovo della Hollywood sul Tevere.
Luogo d’incontro di personaggi di fama internazionale, nota per le esuberanze e le stravaganze dei suoi frequentatori e il ritrovo scelto da piccole stars in cerca di successo e grandi stars in vena di esibizionismo più o meno lecito.
La vita mondana si svolgeva comunque qui, lungo larghi marciapiedi occupati dai tavolini e dalle sedie di famosi bar e locali notturni.
A fare da muti osservatori e spettatori di inconsuete performances, i lussuosi alberghi, l’ultima villa, i bei palazzi allineati lungo i percorsi pedonali.
Il barman ( o il proprietario , non si sa bene..) di uno dei più rinomati locali piano bar, il Gui Bar dell’hotel Ambasciatori, pare sia stato l’ideatore e il committente di questa fontana.
Forse l’ultima stravaganza o forse una reale esigenza dettò il progetto e la realizzazione, che tuttavia non mancò certo di originalità.
In una nicchia di travertino lavorato a fasce orizzontali, una piccola vasca raccoglie l’acqua versata da una cannella seminascosta da un elemento sempre in travertino lavorato a scaglie.
Una specie di stemma nobile compare sulla chiave della nicchia. Una testa di cane in bassorilievo si solleva sulle zampe anteriori, mentre la sigla ABC, sempre in bassorilievo (così veniva anche chiamato il posto, ma anche acronimo di Ambasciatori Bar Charlie o, come leggerete, altro ancora).
Di fatto questa sigla lega indissolubilmente la fonte al bar.
…A volere il piccolo abbeveratoio,si narra che fu appunto tale Mister Charlie, che possedeva due cani di taglia piuttosto grossa, i quali avevano la necessità di bere e non potendoli portare altrove e lasciare il bar.
Il barman regalò loro questa fonte per soddisfare il desiderio di bere a breve raggio e con comodità come in una ciotola domestica.
Nel contempo soddisfece anche l’esigenza di tutti gli altri cani di passaggio.
Altre voci raccontano di una vecchia nobildonna innamorata del Tipo quanto dei suoi cani, tanto da elargire un enorme lascito con richiesta espressa di apporre una statua nei pressi dedicata ai quadrupedi, sembra dunque che sigla e soprannome del posto ABC, fossero proprio le iniziali della generosa mecenate.
La fontana da allora dissetò solo la coppia di Mr Charlie e non solo, pare che anche animali estrosi come i loro proprietari, vi si siano abbeverati negli anni belli della Dolcevita.
Oltre che i cani comuni che si trovavano a passare.
Dagli anni 70 la fontana cadde in disuso ed in decenni di oblio, per fortuna dal 2015 un ottimo restauro l’ha riportata agli antichi splendori, peccato che non abbiano però ripristinato una illuminazione nella nicchia che in origine ne dava riflessi suggestivi nelle notti di Via Veneto.
Ma come già detto, non è di certo il primo esempio di filantropia animale; i Romani già ai tempi dell’Impero, avevano concepito fontane pubbliche espressamente collocate per dissetare animali, cavalli si, ma anche cani e gatti e questa tradizione si tramandò sino a fine 800.
La Fontana del Leone
Questa fontanella fa parte del gruppo, abbastanza cospicuo a dir la verità, delle fontane cosiddette itineranti, quelle, cioè, che hanno cambiato almeno una volta ubicazione nel corso della loro esistenza, non brilla affatto per bellezza o stato di conservazione, ma piuttosto per la sua funzione.
Non sappiamo se sia la più antica rimasta e peraltro è davvero mal conservata, ma era di sicuro uso per cani e gatti.
Oggi si trova alle spalle del Lungotevere Tor di Nona, in Piazza San Salvatore in Lauro, così chiamata per il boschetto di alloro che, qualche secolo fa, proprio lì prosperava giungendo sino alla riva del Tevere.
La fontana originariamente si trovava, dall’anno della sua costruzione, il 1579, su volere di Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni, papa dal 1572 al 1585, in Via di Panico, all’altezza del civico 62.
Venne poi da lì rimossa, a seguito di demolizioni e riassetto urbanistico in zona, negli anni venti del secolo scorso, e collocata dove si trova oggi, già in condizioni abbastanza malandate.
Guardando la facciata della chiesa di San Salvatore in Lauro, fondata nel XII secolo ma poi ricostruita più volte, la nostra fontanella si trova sulla sinistra, appoggiata alla parete del Palazzo dei Piceni, convento attiguo alla chiesa.
La Fontana del Leone, così si chiama ufficialmente questa sorgente di acqua fresca, è costituita da un semplice grottino a scogliera, che forma una nicchia sulla parete del palazzo, circoscritta da due pilastrini, al centro del quale si trova una testa di leone di marmo bianco, così rovinata da assomigliare di più ad un pupazzo di un barboncino tutto mangiucchiato.
Dalla bocca del leone esce un filo d’acqua, all’altezza da terra di poco più di trenta centimetri, che cade in una piccola vasca incassata al suolo.
Sopra la cornice della fontana si trova una targa in marmo contenente un’iscrizione in latino risalente sempre al 1579, la cui traduzione è:
“Come in Campo Marzio un lupo più mite dell’agnello versa dalle fauci le Vergini Acque per il popolo, così anche qui un mite leone più mite di un capretto versa dalla sua bocca la limpida acqua cui presiede la Vergine. Nessuna meraviglia: il pio drago che impera sul mondo intero ha reso col suo esempio ambedue mansueti”.
Questa iscrizione fa riferimento alla provenienza dell’acqua:
Le “vergini Acque” e “la limpida acqua cui presiede la Vergine” sono un chiaro richiamo all’acqua vergine, ovvero quella proveniente dall’acquedotto dell’acqua vergine, fatto costruire da Marco Vipsanio Agrippa nel I secolo a.C. per rifornire di acqua la zona di Campo Marzio.
La più famosa fontana che utilizza quest’acqua è la Fontana di Trevi. Possiamo testimoniare che quella del Leone, svolge effettivamente la sua funzione di dissetare tutti i cani ed altri animali che passano per la piazza ed è come se avessero sempre saputo di trovarla lì, dirigendosi senza esitazione a bere dei sorsi di acqua fresca.
La fontana della Lupa
…Ma tornando all’iscrizione, questa cita una seconda fontana, non più esistente, pare a forma di bocca di Lupa ,che si trovava appunto in via della Lupa e di cui oggi rimane solo una lapide che la sovrastava, posta oggi in via dei Prefetti.
Il “pio drago che impera sul mondo intero” è invece il drago dello stemma araldico della famiglia del papa Gregorio XIII.
Ma se di questa fontana si sono perse le tracce, forse spostata in possedimenti lontani da Roma appartenenti alla medesima famiglia, un piccolo tesoro comunque possiamo gustarcelo andando a scovare una graziosa fonte sulla quale è scolpita una testa di lupo recante una simpatica scritta che porta alla luce uno scorcio della semplice vita condotta dagli abitanti del posto.
La fontana è nascosta all’interno del portico corrispondente al civico 11 di via dei Prefetti.
La Targa recita: “Come la lupa non selvaggia diede ai fanciulli gemelli il dolce latte, così il lupo ti dà l’acqua che scorre incessantemente che è più dolce del latte, più pura della stessa ambra e più fresca della neve; da qui l’operoso fanciullo, il giovane e la vecchia portano a casa dalla piccola fonte l’acqua limpida con la brocca ben pulita e la porgono al cavallo e all’asinello, ma non al cane ed al caprone con la bocca sporca. MDLXXVIII”.
Del resto questa zona nei fasti di Roma era ricca di acqua e fontane; voci giunte dall’oscuro medioevo fino, a noi parlano di una statua situata al centro di una piazza che aveva il braccio destro e l’indice della mano tesi, come ad indicare una direzione; infine la scritta «percuite hic», invitava a scavare nel luogo segnalato.
Furono in molti a seguire l’indicazione,ma scavando non trovarono altro che terra.
Gilberto d’Aurillac, diventato più tardi Papa Silvestro II (999-1003), la cui aspirazione principale non era la vocazione religiosa ma quella di approfondire i segreti delle pratiche magiche, intuì l’enigmatico messaggio della statua e scavò nel punto esatto dove a mezzogiorno cadeva l’ombra provocata dal dito.
Leggenda narra che fu fortunato: scoprì nientemeno che la reggia dell’imperatore Ottaviano strapiena di oggetti d’oro.
Non poté mai appropriarsi dell’enorme ricchezza in quanto, all’atto di prelevarla, sei gigantesche statue, anch’esse d’oro, gli sbarravano minacciosamente il passo impedendogli qualsiasi movimento.
Gilberto di Aurillac, dopo estenuanti tentativi, ricoprì tutto, preferendo la salvezza della propria vita a tutto quel ben di Dio.
Le Fontane Campari
Estrosità o filantropia animale ha sempre spinto a distribuire l’acqua non solo agli uomini.
Dopo un primo passo sull’uso del Brand, come si dice oggi, effettuato dalla novella Italia nella città di Roma, con la comparsa nel tardo 800 del mitico “Nasone” fregiato di stemma SPQR (ed a volte anche dell’acquedotto di cui era fonte), fu la volta delle Fontanelle dei Rioni volute da Mussolini .
Era il 1927 quando il regime fascista assegnò l’incarico al giovane architetto Pietro Lombardi di realizzare le fontanelle che rispecchiassero l’identità di ciascun rione.
Lombardi aveva già lavorato col Piacentini, autore dell’EUR e dell’università La Sapienza, e aveva d’innanzi a sé un futuro promettente.
In verità, oltre a contribuire alla celebrazione dell’opera del ventennio e a lasciare ai turisti un motivo in più per scoprire la capitale, Pietro Lombardi non realizzò molto altro e la memoria si perde oltre il ricordo delle sue caratteristiche fontanelle.
A cavalcare subito questo razionalismo e personalizzazione dell’acqua pubblica, fu la ditta Campari, che per prima capì la potenza del marketing, associandolo ad una fontana che doveva portare il suo nome e nel contempo dstrizzare l’occhio al nuovo impero .
Il filone di retorica fascista esaltava con parate e posticci già da anni, ma continuando una tradizioni che dai Papi passava per i monarchi Savoia.
Ove si demolivano importanti manufati, spesso veniva lasciata una fontana ad memoriam, con epigrafe e qualcosa che ne ricordasse la tipologia
L’ispirazione venne , oltre che dalle suddette fontane, di sicuro da quella commemorativa posta su lungotevere Altoviti a ricordo del Teatro Apollo.
Nel XVII secolo proprio in quell’area Cristina di Svezia fece costruire, su progetto di Carlo Fontana (1634-1714), un teatro stabile interamente in legno: il “Tor di Nona”, che iniziò la sua attività nel maggio del 1670.
Successivamente l’edificio venne interamente ricostruito ed inaugurato nel 1795 con il nome di “Teatro Apollo”; acquistato nel 1820 dalla famiglia Torlonia, nel 1869 l’ormai celebre tempio della lirica romana passò al Comune.
La realizzazione dei lungotevere, prevista già nel Piano Regolatore del 1873, portò alla inevitabile demolizione del teatro che cessò l’attività nel 1888.
Per conservarne la memoria, l’Amministrazione capitolina nel 1925 fece erigere nel punto in cui si trovava il teatro una stele ornata da una fontana-sarcofago, disegnata dall’architetto Cesare Bazzani (1873-1939).
Le fontane pubblicitarie in travertino Campari (Aperitivo e Cordial) furono scolpite da Giuseppe Gronchi all’inizio degli anni ’30 in numero limitato (12) .
Di sicuro si ispiravano come appena detto,a quella commemorativa del Teatro Apollo.
Il Teatro Apollo sorgeva infatti su Via di Tor di Nona, strada che ha cambiato volto per la costruzione del limitrofo Lungotevere Tor di Nona su cui la fontana si trova.
La fontana è fatta da un sarcofago romano, dietro il quale si trova un’ampia stele sormontata da due mascheroni e altri simboli teatrali, e sulla quale è incisa una targa – dettata da Fausto Salvatori – in memoria del fatto che nel luogo in questione sorgeva il Teatro Apollo.
La fontana, comunque (insieme alle colonne che alludono ai miti della romanità, in quegli anni di gran voga), riporta uno dei tanti logotipi che Campari ha usato nella sua storia ultracentenaria .
La prima ad essere installata, come progetto pilota, fu quella, di Chiusi della Verna, si ha però certezza che ne siano rimasti solo altri 2 esemplari oltre a quello di Brunate, a Pistoia e ad Arezzo.
Considerate il primo manifesto pubblicitario tridimensionale.,queste fontane Campari oltre a fornire uno dei primi esempi di marketing territoriale e di pubblicità sociale, donava in questo modo un pezzo di arte al territorio e forniva un servizio di pubblica utilità per quei tempi inestimabile.
La storia del marchio Campari
La fabbrica di liquori fu fondata nel 1860 da Gaspare Campari a Milano. Nel 1882 alla morte del fondatore uno dei suoi cinque figli, Davide, introdusse fondamentali cambiamenti trasformando l’azienda in una delle più note all’estero: da “Liquoreria Campari” a “Gaspare Campari-Fratelli Campari successori” nel 1902 e quindi “Davide Campari & C.”. Quest’ultimo investì molto nella comunicazione tanto è vero che svariati manifesti pubblicitari furono disegnati da Fortunato Depero (che progettò nel 1928 l’originale bottiglietta del Campari Soda), Marcello Dudovich, Marcello Nizzoli, Erberto Carboni, Leonetto Cappiello, Bruno Munari (che disegnò nel 1964 il famoso manifesto).
I primi marchi-firme “Bitter” e “Cordial” vennero registrati nel 1888 assieme allo stemma araldico della famiglia “…formato da uno scudo con la figura di due cani accoccolati e sormontato da un elmo con fogliami ornamentali”. Nella sua storia Campari ha più volte modificato, anche sostanzialmente, il marchio poichè ha volontariamente tradotto il suo linguaggio grafico nei timbri stilistici dei vari momenti dell’arte, della moda, del gusto.
Questo atteggiamento verso la comunicazione, cioè non apparire con lo stesso marchio, è divenuto tipico, imitabile e definito “immagine coordinata aperta”. Nel 1987 si è resa necessaria la fissazione definitiva degli standards grafici che fu realizzata da G&R Associati operando una sorta di restauro, di lavoro filologico sui logotìpi dopo un secolo di stratificazioni grafiche. Furono selezionati quelli più ricorrenti a partire dalla fondazione e si scelse il logotìpo Campari registrato nel 1912, il più utilizzato dal secondo dopoguerra.
Leggenda narra a proposito delle fontane pubblicitarie Campari , che fossero appunto 12, tutte, oltre le tre sopravvissute, situate tra la Toscana e la Lombardia, ma c’è più di una fonte che parla di una fatta recapitare a Mussolini in quel di Villa Torlonia.
Si tratterebbe dunque forse di una tredicesima , sparita e di cui non si ha più notizia, non di meno però delle altre 9 di cui si ignora collocazione.
Ai tempi ( 1929-1930) era uso comune, per compiacere il Duce, fare dono di qualcosa di rappresentativo in nome della retorica urbanistica e nazionalista dell’epoca, per cui quelle fonti che abbiamo trovato e che parlano di questa fontana misteriosa, non sono affatto inattendibili, ma proprio coerenti e contestuali al periodo.
Lo scoop invece sarebbe dato dal fatto che solo quella fontana recava in cima alle colonne, anziché teste in stile romanico-greco, quelle del Duce e del Re Vittorio Emanuele III. I riferimenti che poi la vorrebbero fatta spostare nei pressi del costruendo rifugio antiaereo di Villa Torlonia, suffragano la sua sparizione fisica e storica, in quanto fu probabilmente la prima icona marmorea distrutta dopo l’uccisione del dittatore..
Stranamente anche chi ha redatto una storia pubblicitaria della Campari ha completamente omesso non questa, ma tutte le fontane degli anni 30 , come potete vedere da questo PDF
Fontana dell’acqua vergine in via della Tribuna San Carlo
Come si evince dall’iscrizione posta sulla fontana in occasione del suo spostamento in via della tribuna San Carlo nel 1872, era considerata semipubblica.
Una particolare condizione che si può riscontrare anche nell’opera “Storia delle acque antiche sorgenti in Roma, perdute e modo di ristabilirle” in cui l’’allora commissario delle antichità e presidente del Museo capitolino, avv. Carlo Fea, collocando la sorgente nella sua posizione originaria in via del Corso, spiega che le fontane semipubbliche erano realizzate su iniziativa dei proprietari di case o vigne che, con l’obiettivo di ottenere sgravi sul costo dell’acqua, realizzavano delle fontane ad uso pubblico.
La sorgente, è di incerta datazione, tuttavia, le caratteristiche architettoniche ed ornamentali la fanno risalire alla seconda metà del 600. Essa si compone di tre differenti elementi, probabilmente di reimpiego: la parte superiore in travertino bianco raffigura un mascherone incorniciato da volute e conchiglie; al centro una vasca lobata in marmo di carrara e in basso un basamento in travertino in stile “grottesco”..
Il Restauro e le polemiche
L’antica fontana dell’acqua vergine di via della Tribuna San Carlo, a Roma, è tornata al suo posto. La ricollocazione del manufatto di marmo è avvenuta lo scorso 08 febbraio, al termine di un complessivo lavoro di restauro iniziato quattro mesi fa.
L’intervento, finanziato dall’Arciconfraternita dei Santi Ambrogio e Carlo della Nazione Lombarda e realizzato dall’arch. Federico Quinto, in accordo con il Comune di Roma, Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per il comune di Roma, si è reso necessario per le pessime condizioni conservative in cui versava il monumento che presentava gravissimi segni di degrado, dovuti alla posizione defilata ed alla mancanza del flusso idrico.
il progetto di ripristino, che si inserisce nella più ampia opera di restauro del condominio noto come “Palazzo Vitelli”, prevedeva la ricollocazione del monumento nella sua sede originaria, in via del Corso, e la riattivazione del flusso idrico.
Un progetto ambizioso che la proprietà di Palazzo Vitelli aveva accolto con entusiasmo proponendosi di sostenere tutte le spese di restauro e trasloco, senza alcun onere per la collettività, per valorizzare il manufatto e restituire ai cittadini un bene di storico valore. Tuttavia, proprio durante i lavori di restauro, la Soprintendenza di Stato ha rivisto il suo parere ritenendo il trasloco non realizzabile a causa dei pesanti rimaneggiamenti eseguiti sul Palazzo nel corso dell’ultimo secolo e chiedendo, di fatto, di lasciare la fontana nella sua collocazione attuale.
La decisione non ha lasciato spazio a valutazioni in merito all’individuazione di altre possibili collocazioni che avrebbero dato lo stesso decoro al monumento. Un’occasione mancata, certamente. Una decisione che probabilmente esporrà di nuovo la fontana a degrado e atti di vandalismo.
Bellissima Roma e le sue fontane
interessante. Quante storie non conosciute!