Pochi passi, pieni di Storia
…Trastevere, malgrado progresso e cambiamenti, regala ancora fascino e stupore a chi, svoltando, si imbatte in alcuni suoi vicoli che sembrano aver fermato il tempo.
Uno di questi è sicuramente Vicolo dell’Atleta: piccolo e sinuoso ma pieno di Storia e Leggende. Facile “imbatter si” in esso, passeggiando sulle due strade che il vicolo collega: via dei Salumi e via dei Genovesi.
Il colpo d’occhio passando in queste strade, non lascia certo indifferenti e porta istintivamente ad entrarvi, per vedere cosa ci sia oltre .
Come per altre vie di Roma, anche qui ritroviamo incastonati nelle mura degli edifici reperti archeologici, come il frammento di sarcofago romano strigliato al civico 20 o la colonna scanalata romana al civico 23.
Cattura subito l’attenzione , li dove i due piani si ricongiungono in basso verso i Genovesi, una bella casa palesemente medioevale, restaurata a metà dell’ Ottocento.
E’ un piccolo gioiello in mattoni , con loggia ad arcate su colonne e cornice ad archi; su una colonna sono ancora visibili i caratteri ebraici che vanno letti come «Nathan Chay».
Trastevere nasconde infatti, una storia romana della comunità ebraica, in parte dimenticata per il suo spostamento nei secoli successivi, oltre il fiume nel rione Regola.
Sinagoghe a Roma
Ma è in Trastevere : quest’ antico rione, che vanno ricercate le tracce medievali del suo insediamento intorno al Mille nell’area urbana antistante il Tevere. La comunità si distribuì tra la basilica di Santa Cecilia e la chiesa di San Francesco a Ripa, oltre che all’Isola Tiberina.
Questi luoghi vennero considerati ai tempi una Giudecca, denominazione propria nel Medioevo, dei quartieri abitati dagli ebrei in tante città italiane ed europee. La comunità ebraica di Roma è pertanto, la più antica d’Europa.
Si hanno notizie di ebrei che abitavano in città già nel II sec. a.C. Come per i greci e i fenici, erano perlopiù mercanti o schiavi liberati. Il nucleo originario si accrebbe con l’arrivo dei prigionieri portati a Roma, dopo il 63 a.C, a seguito delle campagne di guerra condotte da Pompeo contro la Giudea.
Quindi si può ben dire che gli Ebrei siano a Roma da prima del Papa! I bassorilievi dell’Arco di Tito, che raffigurano il corteo trionfale dell’imperatore, con il candelabro a sette braccia (menorah) e gli arredi depredati dal Tempio, tramandano la memoria della conquista di Gerusalemme, avvenuta nel 70 d.C. e l’inizio della dispersione degli Ebrei.
Di tale colonizzazione ebraica è testimone la toponomastica trasteverina del tempo, come la «rua Juadeorum», in prossimità di Santa Cecilia, la via «de corte Judei» e il «pons Judaeorum», che era in pratica il ponto Sublicio, ma anche dalla decorazione di alcune case in via dei Salumi.
A Trastevere furono costruite sette sinagoghe, ma l’ unica della quale è rimasta traccia è al civico 14 del vicolo dell’ Atleta: restaurata a metà dell’ Ottocento, si presenta come una casa in mattoni con loggia ad arcate su colonne e cornice ad archi; su una colonna sono visibili i caratteri ebraici che vanno letti come «Nathan Chay».
Fu fondata dal lessicografo Nathan ben Jechiel (1035-1106), l’ autore de «L’ ordinato», che raccoglie tutte le parole presenti nei libri scritti dopo la Bibbia. All’ interno ci sono resti della raccolta d’ acqua di «mikve», ovvero un bagno rituale; oggi nella palazzina vi è un ristorante. Oggi se chiedete ai gentili proprietari, senza neppure troppa insistenza, vi condurranno sotto nelle “segrete” ipogeee dove, ad un livello ancora più basso dell’attuale cantina, scorre una vena d’acqua, accessibile tramite un pozzo.
L’ipotesi è che proprio in questo contesto fosse collocato l’antico Mikweh, la vasca purificatrice, per il bagno rituale, la cantina è poi davvero uno spettacolo che coniuga archeologia ed enologia.
Quanta storia nei sotterranei di Roma e non solo della romana!
Nel chiostro romanico dell’ ospizio di San Cosimato si possono vedere delle iscrizioni funerarie in greco provenienti dalle demolite catacombe ebraiche di Monteverde, come quella riferita a un Domnus, arconte della scomparsa sinagoga dei Vernacoli; per visitarlo si deve entrare nell’ ospedale Regina Margherita in via Roma Libera.
Nulla invece è rimasto del cimitero che si estendeva presso Porta Portese, definito «campus judeorum» e utilizzato dal XIII secolo al XVII, quando un decreto di Urbano VIII fece erigere un muro di contenimento con le lapidi delle tombe, rendendo il cimitero inutilizzabile.
Nulla invece è rimasto del cimitero che si estendeva presso Porta Portese, definito «campus judeorum» e utilizzato dal XIII secolo al XVII, quando un decreto di Urbano VIII fece erigere un muro di contenimento con le lapidi delle tombe, rendendo il cimitero inutilizzabile.
Ma oggi la comunità ebraica ha in qualche modo recuperato certi ambienti originari, per cui si può ancora parlare di una Trastevere ebraica. Così in via dell’ Arco dei Tolomei, nell’ edificio a torre del civico 1, è insediato il Centro di Cultura della Comunità Ebraica; al numero 14 di lungotevere Sanzio, già sede nel 1925 delle scuole elementari e abbandonata per le leggi razziali.
Sono gli asili infantili, la scuola media Angelo Sacerdoti e il Dipartimento di Assistenza culturale, nonché la sede del Collegio Rabbinico Italiano e il Corso Sperimentale di laurea in Studi Ebraici.
L’ edificio attiguo ospita la scuola elementare Vittorio Polacco e, più avanti, al civico 14 è l’ Unione delle Comunità ebraiche Italiane; sotto i portici apre il Centro Ebraico Bibliografico, che custodisce un ricco patrimonio di libri rari, antichi manoscritti e pergamene. E qui c’ è un particolare che vale la pena sottolineare: va infatti ammirato il soffitto del locale dipinto da Emanuele Luzzatti e raffigurante i segni dello Zodiaco.
La visita, alla fine di questo viaggio, può concludersi in viale Trastevere. Qui, al civico numero 60, aprono i locali della Deputazione Ebraica di Assistenza, con l’ Organizzazione Sanitaria della comunità fondata da Raffaele Cantoni ai primi del Novecento, e il Benè Berith, organizzazione presente in cinquanta paesi e che si occupa della tutela delle tradizioni ebraiche
Ma torniamo al vicolo, che cela grandi sorprese anche nel lato opposto; Oggi ai civici 6-7 , si staglia un alto palazzone di metà 800 con finestre a timpani triangolari e curvilinei che sul lato opposto in via de Vascellari.
L’edificio confina con l’antica Opera di Ponte Rotto, ex casa dei Ponziani. Prima di allora qui insistevano case basse medioevali edificate, come si usava in quei tempi, su resti di vestigia romane ed anch’esse pesantemente colpite e riedificate dopo l’incendio del 1268.
Nel 1844 in questa strada venne ritrovato durante alcuni scavi per le sottofondazioni di un edificio adibito a fornace… l’Apoxyomenos: dal greco “colui che si pulisce il corpo con la striglie”, un attrezzo a lama ricurva, perlopiù in avorio, che gli antichi utilizzavano per pulire la pelle dall’olio o dalla polvere, dopo il bagno o la lotta.
Era considerata la sua opera più famosa e rappresenta un atleta colto nell’atto di pulirsi dopo la gara. Gli atleti greci, infatti, si cospargevano il corpo di olio per rendere i muscoli più elastici e per proteggere la pelle dal sole e al termine della gara toglievano lo strato di unto, reso sporco anche dalla polvere e dal sudore, con un apposito raschiatoio, chiamato strigile.
L’originale bronzeo, realizzato intorno al 320 a.C., è andato perduto, sappiamo però che abbelliva le Terme di Agrippa ( di fronte al Pantheon). L’imperatore Tiberio si era letteralmente invaghito di questo bronzo e Plinio il Vecchio ci racconta che se l’era portato in un cubicolo della propria abitazione sul Palatino, salvo poi doverlo restituire poco dopo per l’insistenza del popolo, che ad ogni sua apparizione glielo rinfacciava a gran voce. O tempora, o mores!
La statua è una copia in marmo dell’originale bronzeo dello scultore greco Lisippo (IV secolo a.C.), collocata originariamente davanti alle terme di Agrippa, nei pressi del Pantheon. La statua ora si trova presso i Musei Vaticani nel Gabinetto dell’Apoxyomenos.
Si presenta sostanzialmente in buone condizioni, a seguito degli interventi dello scultore Tenerani, che provvide al restauro dopo il ritrovamento, ed alla completa ed approfondita pulitura del 1994.
A seguito di questi ritrovamenti importanti fu intrapresa una campagna di scavi in vicolo dell’Atleta, che durò un paio di anni e per le quali furono demolite le case in loco ormai fatiscenti.
Furono rinvenuti altri reperti, quali alcune parti di statue bronzee ed un cavallo, anch’esso bronzeo ed opera di Lisippo, su incarico di Alessandro Magno, per onorare i capitani caduti nella battaglia di Granico.
Quest’opera fu portata a Roma da Quinto Cecilio Metello Macedonico e collocata presso il Portico d’Ottavia oggi ai Musei Capitolini. I resti dell’ipogeo ormai svuotati, furono inglobati nelle fondamenta dell’edificio terminato nel 1863, che determinò per motivi urbanistici, il dislivello nel vicolo.
La costruzione della scuola Regina Margherita in via dei Genovesi, una delle prima della novella Italia unita, comporterà alcune demolizioni nelle case all’angolo con vicolo dell’Atleta
Nel 1873, in una Roma fresca di Unità Italiana, il Comune decise di cambiare il nome in Vicolo dell’Atleta, in onore della statua ivi ritrovata. In origine si chiamava Vicolo delle Palme proprio perchè di fronte la Sinagoga esistevano degli olivi , sembra provenienti proprio dall’orto dei Getsemani, ma il cambio di toponomastica avvenne anche per evitare l’omonimia con un altro Vicolo delle Palme, oggi però , non più esistente.
Vicolo dell’Atleta oltre questa patina di storia e suggestioni, regala anche tanti aneddoti dello scorso secolo, una comunità che ne faceva una Trastevere a parte nella stessa Trastevere, dedita sovente a gaudenti tavolate estive dei residenti.
Vicolo dell’Atleta: Un piccolo mondo antico fatto di artigiani e bottegai, Donne intente a forgiare ceste di vimini e carretti che transitavano da e per i mercati ed il vecchio porto di Ripa Grande, tra bassi e e rimesse per cavalli. Ma l’aneddoto più sfizioso ci parla di quella Trastevere di piccola malavita che da sempre, usava questo vicolo per sfuggire ai carabinieri che li inseguivano.
Vicolo dell’Atleta era usato in ogni tempo; dai “Birbaccioni” dei tempi andati ai “Ragazzi di vita” di Pasoliniana memoria, come via di fuga da chi veniva inseguito dopo furtarelli e scippi. Dai tempi del cavallo agli attuali…il vicolo si rivelava una trappola per le forze dell’ordine che li inseguiva con ogni mezzo. Dai quadrupedi alle ingombranti Guzzi in forza all’arma, la fine del vicolo, con il cippo marmoreo piazzato nel bel mezzo, era un ottimo trucco per svignarsela dagli inseguitori, con tanto di sberleffi ed invettive dei malintenzionati i tutori dell’ordine…gabbati e mazziati… Torna alla home