TORRE DEGLI ANGUILLARA (Piazza G. G. Belli)
Nel Medioevo quasi tutte le torri, non solo in Trastevere…anche quelle che oggi vediamo isolate, facevano parte di complessi edilizi più ampi.
I complessi erano di solito costituiti da una cinta muraria merlata con addossate alla faccia interna torri e abitazioni e una serie di strutture di supporto (cappella, forno, magazzino, scuderie, pozzo, cisterna) che garantivano l’autonomia in caso di assedio.
Un bell’esempio di complesso fortificato è offerto dal Palazzo degli Anguillara, benché nella gran parte risalga al sec. XV e abbia subito pesanti rimaneggiamenti alla fine del secolo scorso. Gli Anguillara prendono il nome dal loro feudo presso Bracciano; loro capostipite fu un certo Ramone che, secondo la leggenda, uccise uno spaventoso drago che atterriva Malagrotta; per riconoscenza, il papa gli donò tutta la terra che poté percorrere in un giorno.
Gli Anguillara erano imparentati con gli Orsini, la più potente famiglia di parte guelfa, mentre erano acerrimi nemici dei Prefetti di Vico, ghibellini e potenti vicini di feudo: fu Everso II Anguillara (+1464) a sconfiggerli definitivamente; anche se poi dovette vedersela con Paolo II Barbo,che avviò una politica in aperto contrasto con le mire espansionistiche delle antiche famiglie baronali romane.
Del fortilizio medioevale originario rimane in pratica soltanto la torre in muratura laterizia del XIII secolo, anch’essa restaurata. Everso II infatti, intorno alla metà del sec. XV, trasformò la primitiva fortificazione in un palazzetto rinascimentale. Il conte Everso II degli Anguillara, già proprietario di case in Parione e in Campo de’ Fiori, fece costruire una specie di fortilizio inglobando e restaurando una più antica torre .
Le fondamenta si possono far risalire al sec. XIII. Il vicolo che lambiva la Torre degli Anguillara dalla Lungaretta al fiume, era uno degli scorci più caratteristici del rione Trastevere ed è stato uno dei primi ad essere scarificato durante la costruzione di Viale del Re, oggi viale Trastevere.
Esso si trovava proprio nello spazio dell’attuale raccordo tra Ponte Garibaldi ed il viale progettato per arrivare alla stazione di Ippolito Nievo. Oggi al suo posto c’è piazza Belli , la sua statua venne messa a coronamento della piazza più avanti ,inaugurata nel 1913.
Situata in posizione strategica sulla sponda destra del Tevere, idonea a controllare il fiume e l’Isola Tiberina che le sta di fronte.
Il declino della fortuna della famiglia portò tuttavia presto a passaggi di mano nella proprietà del palazzetto, acquistato nel 1538 da Alessandro Picciolotti da Carbognano, uomo della corte pontificia e già vassallo, pare, degli Anguillara.
Nel 1542 un devastante terremoto procurò gravi danni non adeguatamente riparati, per cui cominciò un degrado progressivo, con lunghi periodi di abbandono, della struttura, che si guadagnò presto l’epiteto di «Palazzaccio». Passato successivamente alle zitelle di S. Eufemia, l’edificio venne acquistato nel 1827 da Giuseppe Forti, borghese trasteverino, che lo adibì a sede di una fabbrica di vernici e vetri colorati. Incisioni di C. Laplante e acquerelli di Ettore Roesler Franz hanno lasciato suggestiva testimonianza, nell’Ottocento, dello stato di decadenza dell’edificio.
Espropriato nel 1887 dal Comune di Roma, venne restaurato agli inizi del Novecento, con un’opera di sapiente recupero della struttura antica affidata alle cure dell’architetto Augusto Fallani, che inglobò sulle pareti esterne e soprattutto interne, nel cortile, frammenti di antichi reperti e fregi architettonici, tra cui colonne con capitelli, insegne araldiche, e tra queste lo stemma degli Anguillara, con due anguille incrociate.
I restauri del 1898-1902 effettuati da Augusto Fallani, hanno innalzato la torre di un metro e mezzo e la hanno dotata di una merlatura ‘in stile’; sono elementi moderni il fianco su via degli Stefaneschi, la cortina frontale, lo stemma di Everso II e le finestre su viale Trastevere. Studi recenti (1986) hanno fatto conoscere l’esistenza di una seconda torre su via della Lungaretta, oggi inglobata e nascosta dall’intonaco.
Il portale su viale Trastevere è del XV secolo; si noti tuttavia l’archivolto sul portoncino d’ingresso: anche se restaurato, è ben costruito con laterizi stilati. Nel 1913 infine lo statista S. Sonnino, proprietario del palazzo ormai diroccato, lo ripristinò e lo affidò all’Ente Morale Casa di Dante.
Questa scelta non piacque al popolo Trasteverino, che avrebbe gradito , ritenendolo scontato, di farne un museo dedicato al cantore della Romanità che peraltro, era già stato insignito di una statua e donato toponomastica alla Piazza, ossia il Belli.
Il complesso edilizio , gia reso alieno al rione da un restauro azzardato che ne aveva snaturato le superfetazioni ottocentesche, apparve subito un circolo di snob con puzzetta sotto il naso che si rintanavano nel suo interno dove il popolo non aveva accesso ( le cose non sono cambiate poi col tempo ).
“Sicché” per dirla alla Dante…fiorirono scritte sul muro nel classico stile Pasquinesco e la stessa statua del Belli, fu per un periodo una statua parlante. Ai nostri giorni, la tramandazione popolare ci riporta una sola delle mille frasi sarcastiche ed ingiuriose rivolte agli illuminati (termine che si sposa bene con la percezione di massoneria che il luogo ebbe da subito), suonava circa così: ” Ar Belli che je sempre piaciuto er vino janno messo accanto quello dell’ojo” alludendo a Dante quanto alla torre di forma quadra , simile alla forma della bottiglia di olio ai tempi, molto pubblicizzato col nome del Poeta toscano…
Una curiosità, l’olio si chiamava Costa in origine ma durante i loro scambi con l’America il prodotto veniva , a causa di questo nome, identificato con la Spagna. Gli venne dato dunque un nome che dell’Italia fosse simbolo e Dante fu la scelta efficace. La famiglia genovese che gia possedeva una nutrita flotta navale dedita al commercio internazionale è infatti la progenitrice della Costa Crociere…altra curiosità poco conosciuta.
TORRE DI FIERAMOSCA (Piazza S. Cecilia)
La casa-torre nell’angolo tra piazza S. Cecilia e piazza dei Mercanti presenta al pianterreno colonne di spoglio coronate da capitelli ionici e collegate da archi di laterizio che denotano l’esistenza di un originario portico, successivamente tamponato, sostenuto da un pilastro d’angolo.
Alla sommità del corpo in angolo, la parete in tufelli mostra una decorazione ad archetti ogivali ciechi, su beccatelli marmorei, che delimitavano forse una loggetta.
La cortina è di colore variabile dal giallo al marrone. Il complesso, databile alla seconda metà del XIII secolo, sembra essere il risultato di una fusione di più edifici medianti passaggi e scale di collegamento, nonostante le differenze d’altezza e i dislivelli tra i piani.
La casa-torre viene detta di Ettore Fieramosca, ovvero del nobile capuano protagonista della famosa disfida di Barletta. La fantasiosa attribuzione nasce da una scena dell’Ettore Fieramosca di D’Azeglio. In realtà noi sappiamo che l’edificio fu di proprietà dell’Ordine degli Umiliati, che nel Trecento si stanziò nel convento annesso a S. Cecilia, svolgendovi attività relative alla lavorazione della lana.
Il movimento degli Umiliati, sorto in Lombardia verso la metà del sec. XII, si proponeva di vivere “a modo della Chiesa primitiva”, perseguendo cioè l’ideale della povertà volontaria, mostrato da Cristo e dagli Apostoli, senza possedere nulla personalmente, traendo i mezzi di sussistenza dal proprio lavoro e costituendo comunità di uomini e donne che vivevano in continenza.
Presto si chiarirono due tendenze: una che fu accusata di eresia per non aver riconosciuto l’autorità suprema della Chiesa di Roma, e che darà origine alla setta dei Poveri Lombardi, l’altra che si inserì invece pienamente nei ranghi della Chiesa costituendosi in Ordine religioso con una Regola che fu approvata da Innocenzo III nel 1201.
Tale Regola prevedeva: il rifiuto del lusso, il lavoro manuale, l’astensione dall’usura, la donazione del superfluo ai poveri. L’Ordine decadde nel sec. XV.
TORRE DI MONTE FIORE (Via di Monte Fiore)
Il toponimo Monte Fiore evidenzia il fatto che l’area sorge su un rialzo del terreno. Tale rialzo tuttavia non è naturale; a 8 metri di profondità sono infatti i resti dell’antico Excubitorium della VII Coorte dei Vigili.
Nel basso Medioevo, un edificio, oggi demolito, identificabile come torre sfruttò l’Excubitorium come fondazione.
Potrebbe essere forse la Torre del Colosso (che sappiamo che doveva trovarsi da queste parti e che fu venduta da un certo Colosso a un non meglio identificato De Marrais.
Ma chissà che la torre non sia parte del leggendario Palazzo della Bella Fròda!… A Roma un tempo si raccontava che a Monte Fiore si trovava il Palazzo di una bella romana, chiamata Fròda o Flora, che girava a bordo di una sua biga d’oro tirata da un cavallo.
Si racconta pure che si fecero scavi e scavi alla ricerca della biga, ma si trovò solo lo scheletro d’un cavallo. Leggende a parte, abbiamo detto che la torre sfrutta l’Excubitorium come fondazione. In effetti nel Medioevo, oltre a singole parti di monumenti antichi, spesso si riutilizzavano interi edifici, trasformandoli in fortificazioni (Teatro di Marcello, Colosseo, Mausoleo di Augusto ecc.). Quest’uso ha permesso che molti monumenti antichi potessero giungere fino a noi.
Da notare una piccola nicchia ad arco aperta su l’unico muro ancora in piedi della torre; tale nicchia (forse atta a ospitare un’immagine sacra) è molto comune negli edifici medioevali: la ritroviamo per esempio all’interno dell’Albergo della Catena e nella Casina del cardinal Bessarione.
TORRE DI VIA DEL MORO (Via del Moro 50)
Al n. 50 di via del Moro, si innalza un interessante edificio laterizio medioevale, finora poco studiato. Eppure l’edificio, chiaramente identificabile come torre, presenta anche una notevole accuratezza costruttiva, come si può notare nell’uso sapiente della stilatura.
La stilatura consiste nell’incisione lasciata sui letti di malta con l’orlo della cazzuola o con uno stilo guidato da un regolo; essa è una sorta di vezzo edilizio, teso a correggere sbavature e difetti vari, al fine di conferire al manufatto una sua regolarità formale; un vezzo che torna in voga tra XI e XII secolo, a testimonianza dell’intimo desiderio di un rinnovamento culturale.
Eccellente è anche la ghiera dell’arco in facciata: anche se sopraffatta da molte ingiurie, la ghiera esprime perfezione per scelta di materiali e posa in opera: questa ghiera è testimonianza della ripresa costruttiva dopo i saccheggi del Guiscardo, quando si manifestò un nuovo fervore costruttivo: questo determinò la rifioritura di belle ghiere ottenute con il reimpiego principalmente di bipedali (60cm). Già nel sec. XIII, la scarsità di mattoni interi comportò la costruzione di archi a sesto ribassato, ovvero causò archi non perfettamente impostati oppure costituiti da laterizi frammentati.
TORRE DI PIAZZA DELLA SCALA (Piazza della Scala 56-57)
Ai numeri 56-57 di piazza della Scala, una casa, il cui aspetto attuale è settecentesco, presenta sul fianco ovest mensole e anelli di pietra che sembrano essere testimonianza del fatto che questo edificio in realtà inglobi una torre medioevale.
Gli anelli, che presumibilmente dovevano servire a farvi scorrere serrande o ad appoggiarvi strutture lignee provvisorie, potrebbero trovare un parallelismo con gli anelli posti in cima a Tor Sanguigna.
Inoltre su questa piazza, verso la metà del secolo scorso, l’Adinolfi vide una casa con un piccolo portico (oggi scomparso), che forse poteva far parte del medesimo complesso della torre; si conserva invece ancora oggi, sulla vicina via della Scala, il resto di un portico medioevale, oggi tamponato e inglobato in un edificio posteriore.
Come gia detto nel post di Vicolo Moroni, esisteva nei paraggi di vicolo della Farnesina, adiacente le mura Aureliane, una seconda torre gemella di questa sempre degli Stefaneschi, andata distrutta per la costruzione dei muraglioni.
Non è da escludere che il tutto facesse parte di un unico complesso di proprietà della famiglia Stefaneschi; infatti l’Adinolfi dichiarò che la casa porticata che lui vide, appartenne agli Annibaldi che furono imparentati con gli Stefaneschi.
E noi sappiamo che questa famiglia, una delle più importanti e potenti a Roma nel Medioevo, dimorò dapprima sul Palatino, quindi proprio presso la basilica di S. Maria in Trastevere.Gli Stefaneschi ebbero la loro maggiore potenza nei secc. XIII – XIV; numerosi suoi membri furono senatori della città o cardinali.
I più noti sono: – Pietro Stefaneschi, podestà di Firenze nel 1280, rettore di Romagna (1286-88) e senatore di Roma nel 1293, nel 1299 e nel 1302; – Jacopo (1270-1341), fratello di Pietro,cardinale diacono di S. Giorgio in Velabro da Bonifacio VIII (1295).
Uomo colto e di gusto, abile diplomatico e protettore delle arti, commissionò a Giotto il famoso mosaico con la Navicella nell’atrio di S. Pietro (oggi scomparso: ne rimangono solo due angeli, uno nelle Grotte Vaticane e uno a Boville Ernica) e il polittico per l’altare maggiore, oggi nella Pinacoteca Vaticana; al Cavallini commissionò un affresco per l’abside della sua chiesa titolare di S. Giorgio in Velabro; – Bertoldo, fratello di Pietro e Iacopo, che fece ornare con mosaici dallo stesso Cavallini l’abside di S. Maria in Trastevere; – Giovanni, figlio di Pietro, senatore di Roma nel 1309.
TORRE DEI TOLOMEI (Via dell’Arco de’ Tolomei)
All’angolo tra via dei Salumi e via dell’Arco de’ Tolomei si erge una piccola torre in laterizio, che doveva far parte del complesso dei Tolomei. Poiché la torre è ‘scapitozzata’, ovvero ha perduto i piani più alti. essa risulta più bassa degli edifici adiacenti, che però sono tutte costruzioni d’età moderna.
Pertanto nel Medioevo dobbiamo immaginare una situazione inversa, con la torre, più alta di come oggi si presenta, che svettava tra edifici vicini più bassi. A sinistra della Torre si apre l’Arco de’ Tolomei, esistente già nel 1358 (quando era già di proprietà dei Tolomei, una importante famiglia senese) e restaurato “in stile” nel 1928. Prima del 1358 l’arco (e tutto il complesso di cui fa parte) dovette essere di proprrietà della famiglia Bondii, un’antica famiglia romana: un certo Nicolaus de Bondijs de regione Transtyberim è citato in un documento del 1331.
L’arco risulta ribassato e frammentato. In effetti, fin dalla seconda metà del XIII secolo, la irreperibilità di mattoni interi impone il confezionamento di ghiere con mattoni spezzati. Per questo si preferì fare ghiere più basse o archi a luce più stretta. L’arco è sovrastato da un edificio moderno. Archi medioevali esistono ancora presso via Torre Argentina, piazza Cenci, vicolo dei Tre Archi presso i Coronari. Questi archi dovevano essere, a norma di una disposizione del 1250, abbastanza alti da consentire a una donna, con in capo un recipiente grande e uno piccolo, di passarvi sotto. A sinistra dell’arco (ovvero dalla parte opposta della torre) doveva forse sorgere un altro corpo di fabbrica medioevale, che non si esclude sia oggi inglobato nell’edificio novecentesco.
TORRE DEGLI ALBERTESCHI (Piazza in Piscinula)
Accanto al campanile di S. Benedetto in Piscinula si erge una struttura quadrata intonacata, la cui forma e dimensioni fanno presumere una sua identificazione con una torre: forse una delle torri della famiglia Alberteschi, che sappiamo sorgevano proprio nella zona in Piscinula.
Per la precisione la più alta e celebre era in via della Lungarina, situata tra piazza Castellani e Piazza in Piscinula, richiama il nome di via della Lungara e Lungaretta, specificandone però, con il diminutivo, la lunghezza decisamente più ridotta rispetto alle altre due.
Occorre precisare tuttavia che un tempo la via giungeva fino a Ponte Rotto, fino a quando la costruzione dei muraglioni del Tevere ne tagliarono un tratto, ricco peraltro di presenze importanti, come il “palazzo Castellani”, della nobile famiglia romana risalente al XIV secolo, e la “Torre degli Alberteschi”, della quale l’unico ricordo è affidato oramai alla toponomastica del Lungotevere