Ponte Rotto, millenni di storia e luoghi comuni da sfatare
..Ponte Rotto, nascosto ormai da vegetazione ed incuria , oasi per gabbiani e volatili di tutte le specie, pur mal ridotto , fa bella mostra di se quando si percorre (a piedi…) l’attuale Ponte Palatino, anche detto “Ponte Inglese” (per il senso di marcia invertito) o “Ponte de fero” , da quando quello dei Fiorentini su smontato a monte del suddetto.
In questo punto esatto , appena a valle dell’Isola Tiberina, il Tevere fa l’ultima ansa prima di lasciare il centro storico e dal bel mezzo del fiume…. questo glorioso rudere; l’unico fornice superstite di un antico ponte: Ponte Rotto.
Nella parte superiore ostenta ancora alcuni rilievi raffiguranti un drago, l’impresa di famiglia di papa Gregorio XIII (1572-85), il ponte in realtà è stato “rotto” più volte nel corso dei secoli, a causa della sua conformazione e delle rapide impetuose che li si creano nelle piene del fiume e più volte ha cambiato nome.
Esso insisteva in punto strategico tra le due rive del Tevere , pertanto messe in comunicazione sin dal III secolo aC. , inizialmente con un semplice ponte di legno, simile all’altro, poco più a sud, detto Ponte Sublicio.
All’inizio del II secolo a.C. furono entrambi distrutti da un’alluvione; i due censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore, furono incaricati sovrintendenti per la costruzione di una struttura in pietra, probabilmente la prima di questo tipo mai realizzata a Roma. Ciò spiega il lunghissimo tempo che fu necessario per portare a compimento l’opera: più di 35 anni!
Tuttavia era anche il più lungo tra gli antichi ponti di Roma: la sua campata misurava oltre 150 metri. Fu chiamato Pons Aemilius, dal nome di uno dei due sovrintendenti.
A quei tempi la sponda occidentale del fiume (Transtiberim, oggi il quartiere di Trastevere) era già popolato da una comunità ebraica, e da abitanti occasionali quali mercanti e uomini d’affari che venivano a Roma per motivi economici.
Sull’altra sponda sorgeva Porta Flumentana, uno degli accessi alla città dell’antica cinta muraria ( le Mura Serviane), per coloro che accedevano all’Urbe da occidente questo ponte conduceva al Campidoglio, dove sorgeva il più importante tempio cittadino , al Foro , e al Circo Massimo , tre dei luoghi più importanti di Roma antica.
Essendo situato in prossimità di un’ansa, dove l’acqua è più turbolenta, e appena a valle dell’isola che, riducendo l’ampiezza del letto del fiume provoca un aumento della velocità della corrente, il ponte fu sempre sottoposto a una continua usura; dopo soli due secoli dopo la sua edificazione si dovette apportare per la prima volta un estensivo restauro, al tempo dell’imperatore Ottaviano Augusto.
In questa occasione fu rinominato Pons Maximus, per sottolinearne la lunghezza.Si dice che nel 221 la folla inferocita abbia gettato nel Tevere il cadavere dell’odiato imperatore Elagabalo proprio da questo ponte.Il suo nome cambiò ancora nel IX secolo, quando uno di due antichi templi situati sulla sponda orientale del fiume venne trasformato in chiesa, col titolo di Santa Maria Egiziaca; la gente cominciò a chiamare Santa Maria anche il ponte.
Tuttavia durante il medioevo i toponimi romani mutavano assai spesso; il ponte non faceva eccezione, essendo stato chiamato con una varietà di altri nomi. Uno di essi era Pons Senatorius (“ponte senatorio”), in seguito ad un completo restauro delle cui spese si fecero carico per l’appunto i Senatori, la più alta carica amministrativa cittadina; a loro ricordo era stata affissa sul ponte una grande targa commemorativa, in segno di tributo, simile a quella tutt’ora presente lungo Ponte Cestio .
Vennero usati anche altri nomi; di seguito viene riportata una lista di quelli conosciuti:
Pons Fulvius, dal secondo sovrintendente;
Pons Lepidus, dal secondo nome del primo sovrintendente;
Pons Lapideus, cioè “ponte di pietra” (forse una corruzione del nome precedente);
Pons Consularis, cioè “ponte consolare”;
Nel frattempo il rione Trastevere stava rapidamente risorgendo sulla sponda occidentale del fiume, e per i suoi numerosi abitanti Ponte Santa Maria rappresentava la principale via d’accesso alla città.
Tuttavia la struttura in pietra continuava a subire danni a opera della corrente; nel XIII secolo crollò. Una volta ricostruito, forse non troppo a regola d’arte, fu ancora gravemente danneggiato due secoli dopo.Il Rinascimento non portò miglior fortuna al Ponte Santa Maria, ovvero Ponte Senatorio. Divenuto instabile in conseguenza di varie piene nel corso del Quattrocento, nel 1552 Giulio III ne commissionò un restauro integrale a Nanni di Baccio Bigio, che fu costretto a ricostruire interamente uno dei pilastri; nella stessa occasione, il papa volle aggiungere al centro del ponte una piccola cappella.
Eppure solo pochi anni dopo, nel 1557, Ponte Santa Maria fu nuovamente spazzato via da un’alluvione. E stavolta dovettero passare venti anni prima che papa Gregorio XIII si decidesse a ricostruirlo, inserendolo tra le opere per il Giubileo del 1575.
Nel 1596, per volere del precedente papa Sisto V, Giacomo della Porta posò sotto il selciato del ponte la condotta dell’acqua Felice, che portò finalmente l’acqua corrente in Trastevere alimentando, in particolare, la fontana di S. Maria.
Le nuove piene, tra cui le devastanti del 1476 e del 1495, resero necessario, solo un secolo dopo, un nuovo pesante intervento di consolidamento del ponte: il lavoro fu dapprima affidato da Paolo III a Michelangelo, che condusse i lavori a rilento, e passato dal successivo papa Giulio III nel 1551 a Giovanni Lippi, detto Nanni di Baccio Bigio.
Si rese necessaria una vera e propria ricostruzione di un pilastro e dei due archi che su di esso poggiavano; per l’occasione fu costruita a metà del ponte una cappelletta dedicata alla Vergine, che sarebbe durata però solo cinque anni, e che troviamo raffigurata su almeno quattro piante pubblicate tra il 1555 e il 1569
Il Lippi completò rapidamente i lavori nel 1552 ma non li eseguì però con la dovuta cura, anzi, addirittura indebolì la struttura del ponte asportando e vendendo parte del materiale marmoreo. Infatti solo cinque anni dopo la fine dei restauri la piena del settembre 1557 fece crollare il pilone appena ricostruito e i due nuovi archi che su di esso appoggiavano “insieme con quella bella cappelletta di Giulio III che vi era nel mezzo con tanta arte e spesa fabbricata”, come riportato da un Avviso di Roma stampato in occasione della disastrosa piena.
Dopo un infelice tentativo effettuato nel 1561 di ripristinare il collegamento alla riva del troncone del ponte superstite per mezzo di una rudimentale struttura in legno sorretta da funi, papa Gregorio XIII decise di affrontare lo sforzo economico per una definitiva ricostruzione in muratura delle strutture crollate. Scartata la proposta di Luca Peto di sostituire i due archi mancanti con un unico arco, eliminando quindi definitivamente il pilone crollato e lasciando più spazio al deflusso delle acque, il ponte fu ricostruito tra il 1573 e il 1575 da Matteo Bartolani da Città di Castello nelle forme originali.Ma ahimè nel 1598, alla vigilia di Natale, la peggior piena che Roma abbia mai dovuto subire in tutta la sua storia . In alcuni punti di Roma l’acqua raggiunse i 5 metri di altezza… ruppe le arcate della metà orientale del ponte, quella rivolta verso il centro della città. Nessun papa né amministratore osò ricostruirlo per secoli e fu così lasciato per sempre interrotto. Ciò valse alla parte superstite il suo ultimo e più diffuso nome di Ponte Rotto.
La metà del ponte rimasta in piedi, ancorata alla riva destra, fu trasformata in giardino pensile, una sorta di balcone fiorito sul fiume, fino alla fine del Settecento, quando la precaria stabilità del ponte divenne talmente evidente da fare abbandonare l’idea di passeggiare sul fiume.
Il Disegno di G.A Dosio
Di fondamentale importanza è il disegno dell’architetto Giovanni Antonio Dosio (1557), che mostra nella parte inferiore il pilone e gli archi crollati e la dicitura “Vestigie del Ponte S.Maria Ruinato p. la inondatione del Tevere l’anno 1557” e nella parte superiore il ponte alla fine del completo restauro del 1575 in cui è visibile il nuovo pilone con il basamento rinforzato da frangiflutti a gradoni e i due nuovi archi con le insegne del papa Gregorio XIII (i draghi della famiglia Boncompagni) nelle lunette degli archi e alla sommità degli archi stessi.
Il disegno del Dosio costituisce la principale dimostrazione del fatto che la parte del ponte più volte crollata e ricostruita fu quella lato Trastevere e non quella verso la sponda sinistra come comunemente ritenuto da molti autori, indotti in errore anche dall’iconografia, quella comunemente nota ed immortalata in tutte le immagini e fotografie del Ponte Rotto, che ci mostra il ponte privo delle arcate sul lato orientale.
Il restauro, che fu quindi definitivo in quanto quella parte del ponte arriverà intatta fino ai nostri giorni attraverso oltre trecento anni fino alla costruzione dei muraglioni, fu commemorato da due lapidi collocate una di fronte all’altra sulle spallette interne all’altezza del secondo arco dalla riva destra; quella lato valle rimase in sito fino alla demolizione delle due arcate lato Trastevere a fine ‘800 . Questo il testo dell’epigrafe:
EX AVCTORITATE GREGORII XIII PONT. MAX
S.P.Q.R.
PONTEM SENATORIVM CVIVS FORNICES VETVSTATE
COLLAPSOS ET IAMPRIDEM REFECTOS FLVMINIS
IMPETVS DENVO DEIECERAT IN PRISTINAM
FIRMITATEM AC PVLCHRITVDINEM RESTITVIT
ANNO IVBILAEI MDLXXV
Per motivi tecnici connessi a questa nuova costruzione , e quella contestuale dei muraglioni, l’ansa trasteverina a valle dell’isola fu pesantemente tagliata laddove il ponte aveva l’ingresso. Fu così privato di due delle tre arcate ed i basamenti usati per il nuovo ponte e definitivamente soprannominato “rotto”, un misero troncone di pietra pieno di storia, abbandonato nel fiume, che potrebbe con costi irrisori essere restaurato e dotato di passerelle dal limitrofo ponte per essere vissuto e visitato, magari a pagamento, all’estero lo avrebbero fatto da tempo, noi sulle nostre vestigia ci facciamo pascolare gabbiani e barboni.
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Sono un cultore di Roma.
Amo la città in maniera unica anche con le sue contraddizioni.
Durante l’anno quando possiamo, con mia moglie, la visitiamo. Tutte le volte scopriamo cos’è nuove con Trastevere che rappresenta uno dei punti di riferimento.
Grazie di esistere Roma.