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Mura Aureliane e Porta Settimiana

Mura Aureliane

Porta Settimiana alla Lungara 1900

La storia

Costruite oltre 1.700 anni fa, con il loro percorso di oltre 18 km, sle mura Aureliane sono tra le cinte murarie antiche più lunghe e meglio conservate al mondo. 

Edificate tra il 270 e il 275 dall’Imperatore Aureliano per difendere la capitale dell’Impero da eventuali attacchi Barbari , hanno subito numerose ristrutturazioni in epoche successive, sia nell’antichità sia in epoca moderna.

 I maggiori sicuramente nel tratto della sponda sinistra del Tevere, da Castello a Ponte Sisto e da qui alla sponda trasteverina; tutto il percorso tra porta Settimiana, Porta S.Pancrazio e Porta Portese, ampiamente rimaneggiato dalle mura Gianicolensi.

Mura aureliane a Vicolo Moroni 1878

Le porzioni rimaste più aderenti alle originali sono quel piccolo tratto tra la Porta Settimiana ( che invece di rimaneggiamenti ne ha avuti parecchi e profondi) e  la Farnesina sino all’attuale lungotevere omonimo.

 Queste un tempo, quando i giardini erano molto più estesi di come oggi li vediamo, terminavano poco a monte di Ponte Sisto mentre sulla sponda opposta erano state totalmente inglobate dalle stratificazioni edilizie delle case addossate al fiume, nei secoli successivi.

Vista da Ponte Sisto a monte 1879, prima dei muraglioni

Il collegamento attraverso il fiume delle Mura Aureliane veniva posto a Ponte Sisto da molti studiosi, identificando il medesimo come quello in origine eretto da Agrippa , poi restaurato da Antonino Pio, da Settimio Severo o Caracalla e infine da Valentiniano.

Esistono però altre teorie, sposate da molti studiosi che fecero rilevi prima della costruzione dei muraglioni, per le quali il Ponte che collegava le mura era in realtà poco a monte dell’attuale Ponte Sisto. Le anse del fiume ai tempi erano radicalmente diverse, così come profondità dell’alveo ed i flussi della corrente..

Ipotesi del Ponte Neroniano a monte di Ponte Sisto
Vista attuale dalla torre sopra vicolo moroni
Vicolo Moroni 1867

Il Ponte Neroniano

In estrema sintesi ( gli studi sono molteplici, contraddittori e fatti da molte fonti autorevoli nei tempi: Richmond, Lugli , Castagnoli, Cozza , Lanciano e tanti altri..)

Tale ponte, disassato , asimmetrico e fortificato non avrebbe lambito il Sepolcro del Platorini,  ma avrebbe avuto un camminamento raccordato alle mura e torri sul fronte trasteverino.

Il medesimo  con sbocco su attuale Vicolo Moroni, il cui proseguimento , differendo di poco dall’attuale via Garibaldi , parallelo alla sua sinistra, sarebbe confluito nella attuale rampa di san Pancrazio fino la porta omonima, inizio della via Aurelia.

Patouillard, incisione raffigurante il Tevere da Ponte Sisto, si notino i giardini Farnesiani che si spingono oltre la metà dell’attuale  alveo, il troncone romano divenuto giardino pensile e dubito dopo la Torre degli Stefaneschi

Prima dei lavori sui muraglioni si poteva vedere chiaramente un giardino pensile poco a monte di Ponte Sisto, che probabilmente era fatto sui resti del ponte suddetto, si può vedere sia dalle foto e acquarelli del Roesler Franz, che in altre rare immagini ante muragliamento.

A conforto di tali teorie ci sono molti elementi, non ultimo la demolita torre degli Stefaneschi poco più a monte ed altre coincidenze in linea col percorso fortificato.

Il progetto Carnevari come si vede, sacrificò gran parte dei giardini Farnesiani modificando il corso del Fiume

Molto visibile nella incisione del Patouillard, oltre che le resta del supposto Ponte Di Agrippa  , poco  più a monte, la torre degli Stefaneschi , che ha una gemella tuttora esistente in piazza delle Scala.

Ottimamente conservata e  posta in asse con questa sul fiume e con tutta probabilità, edificata su resti Romani disseminati lungo il percorso verso la cima del colle Gianicolo, da quell’asse viario che partiva dalla attuale Vicolo Moroni e che, tagliando via Dorotea si congiungeva a via della Scala in quell’ esatto punto, tagliando vicolo Bologna. 

La Tomba dei Platorini

Il Sepolcro rinvenuto durante la costrruzione dei muraglioni, così come possiamo ammirarlo ricostruito praticamente intero, alle terme di Diocleziano (sala10), comprensivo din statue e manufatti
Il Franz con la sua collezione Roma Sparita, ha testimoniato anche il momento del minuzioso smontaggio del sepolcro rinvenuto come si vede, addossato alle mura Aureliane che qui già appaiono visibilmente demolite..

 Altra ipotesi vuole il sepolcro appartenente a M. Artorio Gemino: prefetto dell’erario militare in epoca Augustea…fu comunque rinvenuta nel 1880 nel quartiere di Trastevere, durante le demolizioni dei giardini Farnesiani, tra Ponte Sisto e via della Lungara, la tomba fu minuziosamente ricostruita nell’aula X delle Terme di Diocleziano nel 1911, in occasione della grande Mostra Archeologica di Roma; in tale occasione si utilizzarono tutti i materiali originari superstiti (i blocchi marmorei usati per il rivestimento, le iscrizioni, le urne e le tre sculture).

L’edificio era composto da pareti con nicchie semicircolari e quadrate all’interno delle quali erano collocate le urne con le ceneri dei defunti; l’iscrizione che sovrasta l’ingresso del sepolcro riporta alla famiglia dei Suplicii, forse da identificare con i proprietari del sepolcro stesso.

L’ottimo stato di conservazione del manufatto , integro di tutti i reperti al suo interno è sicuramente da imputare ad una piena alluvionale che, riempiendolo di sabbia, ne ha preservato le fattezze al riparo da barbari e tombaroli sino i suddetti lavori per gli argini del Tevere..

Fine 800..pubblicità della fernet branca e della Star che era la compagnia del Titanic, il barbiere al posto di gildo

Un acquarello del Franz immortala proprio i lavori per lo smantellamento del sepolcro, dove è possibile collocarlo esattamente a ridosso delle mura Aureliane fuori dalla cinta cittadina. Mura poi innalzate e modificate, con superfetazioni stratificate nel tempo, ma che danno una idea di come il livello del fiume sia salito di almeno 6 metri, in quanto il manufatto veniva descritto da antichi testi in una posizione dominante di grande visibilità, mentre nel dipinto di fine 800  la vediamo a pelo dell’acqua.


Oggi le mura che cingono e sormontano vicolo Moroni sono luoghi preclusi allo sguardo, torrette che si affacciano su i giardini della Farnesina e sul gianicolo..autentici privilegio per chi ci vive accanto e che, in alcuni casi, beneficia ancora di accessi al passetto tra le due ultime torri rimaste.

Vicolo Moroni e leggende metropolitane

1949 vicolo Moroni verso Santa Dorotea, a destra palazzo Moroni

Tra le prime leggende metropolitane di una Roma Papalina, vi era quella che ai tempi, i grandi personaggi della curia non camminassero mai come i comuni mortali sulle strade, ma avessero sempre dei cunicoli e dei passetti rialzati, come quello di castello per intenderci , sicché al riguardo ve n’è una proprio legata a Vicolo Moroni.

1953, girotondo a Vicolo Moroni angolo vicolo del Quartiere

Si narra che sotto la lungara vi sia un antico tunnel che la percorra per intero dall’arco di sangallo a S.Pietro ed arrivi proprio alle mura aureliane di S.Dorotea.

L’uso di tale tunnel era molteplice, uno dei più sconosciuti sembra essere, la via anonima per raggiungere un noto bordello che nei secoli scorsi risiedeva proprio nelle mura accanto vicolo Moroni, ma il confine tra realtà e leggenda rimane ancorato a tramandazzioni e ritrovamenti del medesimo sotto i giardini chigiani distrutti per i muraglioni.

Vicolo Moroni 1972
Vicolo Moroni 1972

Il nome di questo vicolo deriva dalla famiglia Moroni, originaria di Milano ma presente a Roma fin dal Trecento, che qui risiedette nel palazzo situato al civico 3.

L’edificio fu acquistato alla fine del Quattrocento dal cardinale Giovanni Moroni che ebbe qui la propria dimora finché nel 1504 si trasferì, in qualità di titolare, nella chiesa di S.Maria in Trastevere , dopodichè il palazzo passò in proprietà alla sua famiglia. Per più di due secoli i Moroni vi abitarono finché il conte Michele, intorno al 1780, vendette l’edificio all’abate Navali; poi l’edificio passò in proprietà a monsignor Angelo Picchioni e successivamente alla famiglia Pozzi.

Michelina, lavandara di vicolo Moroni
La bella mora di vicolo Moroni

Il palazzo, che sviluppa su tre piani ed uno ammezzato, è caratterizzato da un bel portone centinato con bugnato a cuscino e cartiglio in chiave, da altre tre porte, una delle quali murata, e da finestre rettangolari con davanzale su mensole: da ricordare che un tempo la facciata era caratterizzata dallo stemma della casata Moroni costituito da un albero moro celso in campo bianco.

1949 a Vicolo Moroni, Trastevere allora era un quartiere Popolare, persino rurale come testimoniano le gallione in strada…abitato da gente colma di solidarietà; un paese dove le porte erano aperte ed ognuno chiedeva all’altro quel che necessitava..

Dal Teatro Politeama a Palazzo Moroni

Lo spettacolare interno del Politeama
Maestosamente ligneo, il Politeama si stagliava sulla spiaggia della Renella

Tra il 1888 ed il 1895 il palazzo ospitò, all’interno di alcuni locali al pianterreno con ingresso al civico 23, un teatro in legno denominato “Nuovo Politeama Romano” perché in sostituzione del “Teatro Politeama Romano” di “piazza della Renella”, demolito, quest’ultimo, nel 1888 in occasione della costruzione dei muraglioni del Tevere.

I proprietari del “Nuovo Politeama Romano”, Bartolomeo Filipperi e Giovanni Mancini, gestivano anche una famosa e caratteristica osteria, annessa al teatro, denominata “degli Orti Aureliani” (in onore delle vicine Mura Aureliane), frequentata da giornalisti, letterati ed artisti, che qui fondarono un’associazione denominata “La Lega dell’Ortografia”.

Di questo splendido teatro oggi rimane solo la toponomastica di un vicolo
Oggi basta una utilitara a deturpare e ingombrare un simile vicolo, un tempo le auto erano più piccole ed a misura di …rione..
Una repertazione fotografica del rione effettuata nel 1972 dalla Biblioteca Hertziana, ci restituisce i sapori del vicolo e di una Trastevere scomparsa

L’osteria, successivamente chiamata “Trattoria del Lungotevere”, era strettamente collegata alle fortune del teatro e le vendite del vino direttamente proporzionali al successo degli spettacoli: durante la rappresentazione del dramma “Le Due Orfanelle” o durante l’esibizione canora del cantante romanesco Orazietto delle Fornaci, il vino scorreva a fiumi, quasi incapace di placare la sete e l’eccitazione di quei popolani entusiasti.

Successivamente nello stesso luogo si insediò il “Teatro Intrastevere”, caratterizzato da tre ambienti distinti e separati: la “sala teatro”, la “sala caffé teatro” con un palcoscenico a passarella e la “sala performance” senza palcoscenico: oggi i locali sono adibiti a sala cinematografica denominata Multisala Intrastevere.

Una presenza davvero particolare quanto inaspettata ma ampiamente esposta prima, è fornita dai resti del tratto transtiberino delle Mura Aureliane, una presenza davvero rara su questa sponda del Tevere, che costituivano il prolungamento ed il congiungimento della cinta difensiva tra la vicina Porta Settimiana ed il Tevere, dove, poche decine di metri a nord di Ponte Sisto, si chiudeva il triangolo transtiberino.

Ancora oggi, spinti dal fascino di un vicolo magicamente senza auto (sono momenti rari come le congiunzioni astrali…) si possono incontrare veri trasteverini che agli occhi curiosi del forestiero, “danno chiacchiera” ..come si diceva a Roma, mostrando il loro animo grande, la loro commovente …umana solidarietà ed inclinazione al socializzare, un popolo orgoglioso delle sue radici e tradizioni che ha sempre accolto ed integrato tutti sin dalle origine del tempo…e che oggi , a furia di accogliere lo straniero..ne è stato colonizzato e gentrificato…ma che anche rimasto un gruppo sparuto..non molla e per fortuna…mantiene nelle nuove generazioni le sue prerogative uniche.

Quelli che purtroppo non ci sono più, parlano attraverso intonaci scrostati e resta di vestigia Romane, ultimi depositari di una Romanità ormai quasi estinta

Raro come una eclisse di sole..il vicolo senza auto che rimanda lo sguardo a fascino antico
Mura Romane e Bouganville, case addossate a torrette di guardia, il fascino di questo vicolo è unico, riservato…magico 
Il “settimiano” alla Porta omonima, un incrocio tra vie principali odierne ma anche rotte di era repubblicana.

La finestra della Fornarina

Illustrazione di Dante Paolocci 1883
Illustrazione di Dante Paolocci 1883
1900 l’edificio quattrocentesco al settimiano

una caratteristica finestra incorniciata da un arco a sesto acuto riccamente decorato: la tradizione vuole che questa fosse la Casa della Fornarina, figlia di un fornaio che lavorava nella bottega del piano terra, dove una colonna d’epoca romana, lasciata a vista, mostra le tracce di un antico portico.

La Fornarina, sempre secondo la tradizione, sarebbe stato il soprannome della bella Margherita Luti o Luzzi, la quale si affacciava proprio da quella finestrella ad arco per salutare il suo celebre amante, ovvero Raffaello Sanzio, che la immortalò in vari suoi affreschi, tra i quali probabilmente il più famoso è proprio la “Fornarina”, conservato nella Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini.

una cornice di storia e leggenda intarsia questa finestra detta della “Fornarina”

La tradizione collega alla famosa Fornarina altre due case: una nella vicina via del Cedro e l’altra a via del Governo Vecchio, per cui diventa davvero difficile discernere la verità dalla leggenda: l’unica certezza sembra essere il ritiro della bella Margherita nel monastero di Santa Apollonia, lì rifugiatasi dopo la scomparsa del suo grande amore.

1850, forse la prima foto della finestra detta della Fornarina

Porta Settimiana

Porta Settimiana è la porta settentrionale di quel triangolo che includeva il rione Trastevere all’interno delle Mura Aureliane. “Porta Septimiana”, questo il suo nome antico, fu costruita da Settimio Severo sugli “Horti Getae”, sui giardini cioè di Settimio Geta, figlio di Settimio Severo e fratello dell’imperatore Caracalla. La porta attuale fu ricostruita, con la sua caratteristica merlatura ghibellina, da papa Alessandro VI Borgia nel 1498 e segna l’inizio di via della Lungara.

Porta settimiana dalla Lungara 1890
Settimiano alla porta 1939

E’ difficile pensare che ci sia un romano che non abbia avuto l’occasione di passarci attraverso almeno una volta. E certo anche gran parte dei turisti che, visitando la città, hanno voluto scoprire gli affascinanti vicoli di Trastevere, ci saranno facilmente capitati. Eppure non si può dire che, almeno dal nome, sia una delle Porte più famose di Roma.

1860 a Porta Settimiana
La porta oggi, questo luogo è molto caro alla cinematografia , qui sono state girate una infinità di pellicole a partire dagli anni 40

Conclusioni

La storia però testimonia che è una tra le più antiche rimaste esattamente dove fu costruita: la sua edificazione risale probabilmente al primo secolo avanti Cristo, anche se la prima citazione storica, con il nome che ancora porta, risale solo al terzo secolo dopo Cristo quando, per volontà dell’imperatore Aureliano, vennero costruite le omonime mura a difesa della città. 
Uscendo dalla Porta Settimiana si andava un tempo verso gli Horti Imperiali, quella parte della campagna dove sorgevano le sontuose ville dei nobili che lì andavano a riposarsi dalle fatiche della vita politica. Allora era appositamente fortificata, e rimase tale anche quando Alessandro VI Borgia la fece ornare, nel sedicesimo secolo, con i merli che ancora la sormontano. Allo stesso periodo risale anche via della Lungara, allora detta via Recta, che era stata pensata e predisposta per portare i pellegrini dal porto sul Tevere, proprio nelle vicinanze della porta, a San Pietro, come una sorta di via Santa verso il tempio della cristianità.

1959 al Settimiano

Quando poi nel Seicento le mura Aureliane vennero soppiantate da quelle Gianicolensi, più esterne e più alte, Porta Settimiana perse il suo ruolo difensivo e simbolico di ingresso nella città eterna, e conseguentemente anche la sua importanza strategica e quella formale.

Il nome che ancora porta sembra risalire al figlio dell’imperatore Settimio Severo, Publio Settimio Geta, cui appartenevano anche gli Horti Getae adiacenti al Tevere, anche se in alcuni testi si preferisce invece legarlo al Tempio di Giano, che si trovava poco a nord (porta a settentrione di Giano sembra essere in questo caso l’origine più accreditata del nome).

Una suggestiva terrazza dove ha mangiato il fior fiore della dolcevita e della Hollywood sul tevere , ancora c’è e porta il nome dell’amata di Raffaello

Oggi la Porta Settimiana si trova tra il carcere di Regina Coeli e le stradine di Trastevere, piene di locande e ristorantini, dietro l’orto botanico e vicino alla chiesa di Santa Croce delle Scalette, o del Buon Pastore, dove nell’Ottocento molte ragazze venivano mandate dal giudice dei minori per essere redente e rieducate, dopo aver subito violenza o essere state costrette alla prostituzione.
Incastonata in una sorta di percorso che si alterna tra meravigliose ville nobiliari e tristi edifici di riscatto dallo squallore della povertà, tra lo sfarzo dei palazzi della vecchia nobiltà, ora trasformati in centri di cultura, e l’antica miseria del popolo che ancora si legge sui muri del carcere, la Porta Settimiana si erge ancora testimone imponente di secoli di storia tra il fiume e il colle Gianicolo.

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1 commento

  1. Guido Hermanin

    Molto bello avvincente.
    Si potrebbe fare una cosa analoga per gli altri tratti rimasti delle Mura aureliane a Trastevere, senz’altro meno suggestivi, ma sempre molto interessanti, dall’antica Porta Portese (oggi demolita) fino a Porta San Pancrazio?

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