Acquedotto Traiano
Prima di Arrivare alla magnificenza della mostra dell’acqua Paola, va considerata la situazione degli acquedotti romani ai tempi in cui i potenti d’allora, amavano realizzare grandi mostre d’acqua .
Vanagloria e necessità confluivano in manufatti che sono nei luoghi ove aveva termine naturale questo o quell’acquedotto o quel che ne rimaneva., che dunque andava restaurato e potenziato a seconda dello stato.
1936 acquedotto seminterrato , anche muro di cinta di villa Pamphili
La parte destra del Tevere (quella che oggi riconosciamo in Trastevere, Monteverde, ma anche Prati e Borgo Pio), ha subito la carenza di acqua potabile fin dai tempi antichi.
Diamo solo pochi dati per capire meglio: su 9 dei grandi acquedotti costruiti dai Romani, solo uno partiva dalla riva destra del Tevere, ovvero quello fatto costruire da Traiano nel 109 d.C.
Prima, questa parte di città era rifornita in parte dall’acquedotto Alsietino, la cui acqua era per lo più insalubre e serviva per rifornire i giochi d’acqua voluti dall’Imperatore Augusto.
Considerando che Roma nei primi decenni dell’Impero contava oltre un milione di abitanti, era un problema notevole lasciare migliaia di abitanti senza acqua potabile.
Nel 537 poi, durante il loro assedio, i Goti tagliarono tutti gli acquedotti che fornivano la capitale dell’Impero, inaugurando di fatto il lungo Medioevo di Roma.
La città rimase per secoli senza acqua corrente, finchè nel XV secolo si cominciarono i lavori di ripristino e di ampliamento dei vecchi acquedotti.
Il “Fontanone”
La monumentale fontana del Gianicolo (più nota con la denominazione di “Fontanone”) sita in via Garibaldi, venne realizzata per volontà di papa Paolo V Borghese da Giovanni Fontana, con la collaborazione di Flaminio Ponzio.
Essa costituisce la grande Mostra dell’Acqua Paola, ossia dell’antico Acquedotto Traiano, proveniente dal lago di Bracciano. Traiano fece costruire l’acquedotto nel 109 d.C., per approvvigionare il Trastevere: il percorso totale è valutato in circa 57 km.
I due architetti, tra il 1610 ed il 1612, portarono rapidamente a termine la mostra, con una spesa di poco inferiore ai 10.000 scudi ed ispirandosi, per volere dello stesso papa, alla fontana del Mosè, opera questa di Domenico Fontana, fratello di Giovanni.
Guarda caso, la parte destra del Tevere rimase tra le ultime ad essere rifornite, in quanto all’epoca era considerata l’estrema periferia di Roma (quella che oggi è Trastevere!!!).
Fu solo all’inizio del XVII secolo che si mise mano all’Acquedotto Traiano per ampliarlo.
L’opera fu voluta nel 1605 da Papa Paolo V, il quale comprò dalla famiglia Orsini numerosi sorgenti d’acqua nella zona compresa tra il Lago di Bracciano e Trevignano. Già nel 1608 l’acquedotto (da allora detto “paolo”) era in funzione.
Originariamente il Fontanone non aveva la grande vasca ma soltanto cinque piccole conche per altrettante bocche d’acqua (vedi immagini a dx), ne c’era dinanzi l’ampio spazio che consente di ammirarla in tutta la sua grandiosità. Si trovava proprio sull’orlo del colle gianicolense che in quel punto era tagliato a picco.
Le vasche poi sversavano in un ambiente sottostante a sinistra del’ingresso della residenza dell’Ambasciatore di Spagna, ancora oggi visibile subito dopo la scalinata della rampa di san Pancrazio. Li vi erano dei mulini mossi appunto dalla forza dell’acqua Paola e la strada ancor oggi viene affettuosamente chiamata “salita dei Mulinari”.
Nel 1690 il pontefice Alessandro VIII Ottoboni provvide all’espurgo delle condutture ed all’immissione di nuove acque e fece creare l’attuale piazzale, che rafforzò con solide mura. Inoltre fece aggiungere l’ampia e magnifica vasca di marmo bianco, realizzata da Carlo Fontana.
Nel 1698 Innocenzo XII fece recingere la fontana con l’attuale balaustrata di colonnine, unite con sbarre di ferro, per evitare che i carrettieri vi si abbeverassero i cavalli.
L’edificio, costituito da tre ampie nicchie centrali fiancheggiate da due minori laterali, fu costruito in pietra tiburtina prelevata dalle rovine del Foro di Nerva.
È ornato da sei colonne ioniche, quattro di granito rosso (provenienti dalla facciata dell’antica basilica di S.Pietro) e due laterali di granito bigio, le quali sostengono l’architrave che contiene la seguente iscrizione: ANNO DOMINI MDCXII PONTIFICATUS SUI SEPTIMO, ossia “Nell’anno del Signore 1612 durante il suo settimo Pontificato”. Sopra l’architrave si eleva l’attico, a sua volta sormontato da una nicchia ad arco sormontata da una croce , con gli emblemi araldici di Paolo V Borghese, un drago ed un’aquila, sorretti da due angeli (opera di Ippolito Buzio del 1610), emblemi che si ripetono anche alle due estremità dell’attico con due draghi .
L’attico presenta un’ampia lastra marmorea incorniciata ed incisa con magnifici caratteri, nella quale si legge: PAULUS QUINTUS PONTIFEX MAXIMUS / AQUAM IN AGRO BRACCIANENSIS / SALUBERRIMIS E FONTIBUS COLLECTAM / VETERIBUS AQUAE ALSIETINAE DUCTIBUS RESTITUTIS / NOVISQUE ADDITIS / XXXV AB MILLIARIO DUXIT, ossia: “Restaurate le vecchie condotte dell’acqua di Alsio (Palo sull’Aurelia) ed aggiunte delle nuove dalla XXXV pietra miliare, Paolo V Pontefice Maximo portò l’acqua raccolta nella campagna delle assai salubri fonti di Bracciano”.
Questa epigrafe, una delle più belle che esistano a Roma, contiene, tuttavia, una grave inesattezza: vi si afferma, infatti, che per addurre l’acqua vennero restaurati gli antichi condotti dell’Aqua Alsietina (proveniente dal lacus Alsietinus, oggi lago di Martignano) anziché quelli dell’Aqua Traiana. La realizzazione dell’acquedotto Paolo consentì per la prima volta l’ingresso dell’acqua nelle case di Borgo e Trastevere, ma si trattava di acqua non perfettamente potabile, se i romani coniarono il detto “Valere quanto l’acqua Paola”, cioè valere poco o niente.
Il Restauro 2019
Gli interventi eseguiti, avviati a fine maggio, hanno interessato le mostre terminali di importanti acquedotti romani, hanno riguardato la superficie delle vasche e di tutte le parti inferiori dei prospetti.
È stato eseguito il lavaggio di tutte le superfici con l’eliminazione delle patine biologiche, sono state rimosse le incrostazioni calcaree ed è stato realizzato il consolidamento e la stuccatura delle lesioni laddove necessario. Su tutte, infine, è stata effettuata l’impermeabilizzazione delle vasche e la verifica degli impianti idrici ed elettrici.
Tali interventi sono stati finanziati dalla Maison Fendi. L’intervento a cura della Sovrintendenza capitolina, sostenuto con 280mila euro, ha riguardato anche la manutenzione straordinaria della Fontana del Mosè a piazza S.Bernardo, la Fontana del Peschiera in piazzale degli Eroi e la Mostra della nuova Acqua Vergine al Pincio, in viale Gabriele D’Annunzio. La casa di moda aveva già pagato il restauro di Fontana di Trevi e del complesso delle Quattro Fontane.
Successivamente l’acquedotto fu prolungato per alimentare anche i rioni di Regola e Ponte: a tal scopo fu costruita la seconda fontana-mostra, quella che oggi è situata in piazza Trilussa, ma un tempo addossata al palazzo dei Centopreti, come fondale di via Giulia.
Nella seconda metà del XVII secolo, per volontà di papa Alessandro VII, il giardino, allora assai ampio, alle spalle del Fontanone, venne adibito ad Orto Botanico ed affidato alle cure dell’Università della Sapienza: solo nel 1820, per volere di Pio VII,
l’Orto Botanico venne trasferito nei giardini di palazzo Corsini. Oggi un cancello immette all’interno del giardino, nel quale vi è un ninfeo con lo stemma di Innocenzo XII Pignatelli, perfettamente in asse con il nicchione centrale della fontana , attraverso il quale si gode un insospettato quanto meraviglioso panorama di Roma.
Ultimamente il fontanone è stato per così dire “riscoperto” dai Romani, essendo assurto alle cronache per bagni estivi di turisti e sposi ed anche per pattinate nei rari giorni che le temperature invernali ne ghiacciano la vasca.
La cosa suscita doverose polemiche su come sappiamo proteggere i nostri monumenti da vandali ed inciviltà, è vero che da sempre il tuffo nel fontanone era una trasgressione fanciulla, ma allora i vigili c’erano ed erano solerti ed efficaci: sbucavano dal nulla del gianicolo e prontamente sequestravano vestiti.
Questi venivano poi restituiti alle mamme assieme ai pargoli, portati a casa dal solerte vigile per un orecchio , poi come si usa dire a Roma, andato via il pizzardone, la madre “je dava er resto”.
Queste situazioni, che nulla hanno in comune con l’odierna tracotanza e sfacciatagine di chi ci si fa i “selfi” in immersione parziale o totale, sono testimoniate da foto e racconti, come quelli del nostro amico Fabio D’Andrea: “Ariannavamo là, tutti assieme, ma stavorta mica se spojevamo più. Je mettevamo uno fisso affà er palo e noi via a fasse er bagno co tutti li vestiti addosso! E appena sentivamo lo strillo:
< ‘e guardie, ‘e guardie, ‘e guardieeee ….>
Scappevamo de còrza co tutti li vestiti bagnati addosso!! … cit da Uno de Nojantri, cap Er bagno ar Funtanone, pag 27, ed Alpes srl